lunedì 31 marzo 2014

Inga Moore

Articolo di Mianna




"Allora scivolò dentro e chiuse la porta dietro di sè e vi si appoggiò col dorso, guardandosi intorno, respirando ancora un po' affannosamente per l'eccitazione, la meraviglia e la gioia.
Era "dentro" il giardino segreto!"



Pubblicato per la prima volta nel 1909 il romanzo di Francis Hodgson Burnett, "The secret garden", ha conquistato per più di un secolo i lettori per la determinazione e il coraggio con cui due ragazzini infelici e sfortunati cercano di portare gioia e conforto non solo nelle loro vite ma anche in quelle delle persone che li circondano.
Come già ho avuto modo di scrivere nel blog, questo libro è uno dei più cari della mia infanzia e lo è stato probabilmente anche per Inga Moore,  mia coetanea, che ha saputo cogliere nelle illustrazioni del suo ultimo lavoro tutto l'incanto stupefacente del giardino segreto che torna a vivere grazie alle amorevoli cure di Mary Lennox, del cugino Colin e di Dickon, un ragazzo dello Yorkshire.



Nata nel 1945 in Inghilterra, Inga Moore si trasferì con la famiglia in Australia nel 1952. Da piccola sognava di diventare veterinario, ma al termine degli studi, trovò impiego in una agenzia di pubblicità.
Dal 1981 è tornata in Inghilterra,  scrive e illustra libri per bambini e libri di poesia.
Dai suoi disegni appare innanzi tutto il forte legame con i paesaggi della sua infanzia, riproposti con grande meticolosità.


 Tutti dissero che Mary Lennox, giunta al castello di Misselthwaite per vivere presso suo zio, essendo rimasta orfana, era la più brutta bambina che avessero mai visto: aveva un visetto appuntito, una figurina smilza, pochi e radi capelli biondicci ed un'espressione antipatica sulla faccina pallida, dagli occhi scialbi.
Mary ha perso i genitori per un'epidemia di colera in India e il mondo che è costretta a scoprire ora è per lei assolutamente nuovo.

Quando fu uscita dal cancello, si trovò in un grande giardino con radure e sentieri tortuosi bordati di bosso.
Il clima, la vegetazione, i rapporti con la servitù, tutto è assolutamente diverso....
Ella non conosceva abbastanza l'Inghilterra per sapere che stava avvicinandosi agli orti dove crescevano frutta e verdura.



C'era un'altra porta aperta  che mostrava siepi e sentieri attraverso aiuole di ortaggi invernali.Un vecchio con una vanga sulla spalla entrò nel giardino. Aveva un'aria arcigna e non sembrava affatto soddisfatto di vederla...

Ma ecco la prima sorprendente scoperta;
Un uccellino con un brillante petto rosso era appollaiato sulla cima di uno di questi alberi e cantava quasi si fosse accorto della sua presenza e volesse chiamarla.
e un amico tira l'altro...

....Il vecchio si volse dalla parte del frutteto e fischiò dolcemente con gran meraviglia di Mary che non sapeva spiegarsi come un uomo tanto burbero potesse fischiettare così bene. Immediatamente accadde una cosa meravigliosa: un frullo d'ali attraversò l'aria e il grazioso uccellino volò verso di loro e venne a posarsi su di una zolla ai piedi del giardiniere.


Mary non aveva mai capito prima di quel momento che la sua solitudine era una della cose che la facevano diventare aspra ed imbronciata,
Nel suo cuoricino qualcosa tremò; quello strano uccellino allegro e grazioso aveva qualche cosa di umano: era piccolo, tondo, morbido, il becco era fine e delicato come le svelte gambette.





Il dolore per la perdita prematura della moglie  ha indurito il cuore dello zio di Mary che trascorre il suo tempo lontano dal castello, lasciando la bambina in compagnia dei domestici. Mary socializza con Martha, una ragazzotta di campagna dai modi semplici e gentili, che racconta di un giardino segreto, dove un tempo i due sposi trascorrevano ore felici, ma che ora è abbandonato. Il padrone ha vietato a chiunque di entrarvi : è circondato da un alto muro e la porta d'accesso, nascosta da una fitta cortina di edera, è chiusa a chiave.
Mary sente nascere dentro di sè un grande desiderio di entrare in quel giardino, fintanto che un giorno....
Mary vide il pettirosso saltare sopra una zolla di terra appena rimossa e fermarvisi in cerca di vermiciattoli. La bambina scorse qualcosa tra la terra smossa:era un oggetto simile ad un anello di ottone o di ferro arrugginito. Quando il pettirosso volò sull'albero vicino, ella allungò la mano e raccolse l'anello. Era qualcosa di più di un anello: era una vecchia chiave che sembrava essere rimasta sepolta laggiù per molto tempo.
Forse è la chiave del giardino segreto.......
Sarà proprio il pettirosso a condurre Mary alla scoperta della porta segreta e, una volta varcata quella soglia, la bambina scopre che quello:
Era il luogo più affascinante e misterioso che si potesse immaginare.....Le piante di rosa da giardino, cresciute senza mai essere state potate, erano diventate come dei piccoli alberi......Il sole brillava fra quelle quattro mura e l'azzurra volta del cielo pareva più luminosa che altrove.



 Dapprima Mary pensa che il giardino così a lungo privo di cure sia morto, ma poi esplorandolo attentamente scopre che ci sono tanti segni di vita nascosti tra le foglie  ormai secche e i rami contorti.Così decide che quel giardino deve rivivere e sarà lei stessa a far sì che ritorni ad essere la meraviglia di un tempo.
Le sue nozioni di giardinaggio sono praticamente nulle e per di più la bambina non intende svelare ad alcuno la sua scoperta. Eppure sente nascere ogni giorno di più un interesse mai provato prima per i bulbi, i germogli, le rose, e sogna ad occhi aperti come sarà un giorno il giardino segreto.
Intanto fa un incontro molto interessante:
Vi era un sentiero bordato di siepi di alloro che girava intorno al giardino segreto e finiva a un cancello che dava in un boschetto nel parco. Quando lo raggiunse, lo aprì e lo varcò perchè intanto aveva udito uno strano e modulato fischio....
Lo spettacolo stranissimo che le apparve le tolse quasi il respiro: un ragazzo stava sotto un albero al cui tronco era appoggiato con la schiena, mentre suonava in un rozzo zufolo. Era un ragazzo buffo, di circa dodici anni; aveva un aspetto pulitissimo, un nasino volto all'insù e delle guance rosse come papaveri. Mary non aveva mai visto occhi così rotondi e azzurri in una faccia di bambino.


Il ragazzo è Dickon, uno dei tanti fratelli di Martha;vive nella brughiera ed è venuto al castello per portare a Mary degli attrezzi  da giardino e dei semi.Dickon è un ragazzo gentile e buono e gli animali stanno volentieri con lui,gli uccelli, i conigli, le pecore , i cavallini selvaggi e perfino le volpi, tutti gli vogliono bene.
Superata la timidezza iniziale, Mary resta affascinata dalle parole di Dickon e dalla sua simpatia, così finisce per confidargli il suo segreto. I due lavoreranno insieme per far rinascere il giardino non simile a uno di quelli coltivati da giardinieri,tutti tagliati e pettinati e lisciati; sarà un giardino con la vegetazione che cresce libera e dondola e intreccia i suoi rami che vanno dove vogliono.



Improvvisamente il signor Cravin, lo zio di Mary, rientra da Londra al castello e chiede finalmente di incontrare la bambina prima di ripartire.
Mary si presenta all'incontro intimidita e imbarazzata ma con sua grande sorpresa scopre che lo zio
non era brutto: il suo viso avrebbe potuto anche essere bello, se non vi fosse stata un'espressione tanto profonda di infelicità; sembrava che la vista della bimba lo preoccupasse e lo spaventasse, come se non avesse saputo che fare di lei e cosa dirle:


Il colloquio tra i due è breve ma Mary trova il coraggio di chiedere allo zio di poter disporre di un po' di terra, per  piantarvi i semi e per farvi crescere delle piantine,per vederle nascere  e vivere,  e il signor Cravin, un po' sorpreso e un po' intenerito , acconsente perchè la bambina gli fa ricordare qualcuno che amava la terra e tutto quello che vi cresce.
Ma le sorprese per Mary non sono finite. Quella stessa notte viene svegliata dal rumore della pioggia che batte contro i vetri con pesanti gocce e mentre si gira e rigira nel letto in attesa di riprendere il sonno , sente un suono provenire dal corridoio,lontano e soffocato, simile ad un pianto triste. Mary prende una candela accesa dal suo tavolino da notte e si avventura per i lunghi corridoi bui alla ricerca del luogo da cui proviene quel pianto.
si avvicinò alla porta e la tirò a sè per aprirla.Era una grande camera con bei mobili antichi; il fuoco moriva nel caminetto ed una lampada da notte ardeva di fianco al letto a colonne intagliate, che sostenevano un baldacchino di broccato. Nel letto c'era un ragazzo che piangeva disperatamente.


Il ragazzo è Colin, Colin Craven.
Il ragazzo aveva la faccina minuta e delicata del colore dell'avorio, gli occhi sembravano troppo grandi per la sua faccia  e le occhiaie profonde la facevano sembrare ancora più minuta. Sembrava che il bambino fosse stato ammalato, ma pareva che ora piangesse più di stanchezza e di rabbia che di dolore.
Superato il reciproco stupore - ognuno ignorava l'esistenza dell'altro - i due cugini iniziano a raccontare di sè con inaspettata disinvoltura.
Colin vive segregato in quella stanza  perchè non sopporta di essere visto dalla gente.Il padre raramente gli fa visita perchè la madre è morta in occasione della sua nascita perciò la sua presenza lo addolora. Poichè il ragazzo è piuttosto cagionevole di salute , tutti sono convinti che non vivrà a lungo. Lui stesso ne è convinto e dato che  nessuno osa  contraddirlo, è diventato un ragazzino dispotico  e prepotente.
In poco tempo Mary riesce a scuoterlo dal suo torpore parlandogli della brughiera, dell'erica , della ginestra dal dolce profumo di miele, dell'aria dorata dal sole e Colin riprende colore e voglia di vivere.



Il percorso non è facile; infondo entrambi i ragazzini hanno trascorso un'infanzia viziata e solitaria e devono imparare a dominare il proprio egocentrismo, ma Dickon con la sua spontanea semplicità e precoce saggezza sarà per loro di grande aiuto.



Dickon venne dentro sorridendo con l'agnellino tra le braccia, la volpe al fianco, Noce su di una spalla e Guscio in una tasca. Sull'altra spalla stava Fuliggine.
Colin  si drizzò lentamente fissando il ragazzo come aveva fissato Mary la notte del temporale. Ora la sua espressione era piena di meraviglia e di gioia.

E finalmente arriva il giorno in cui Colin può scendere in giardino sulla carrozzina spinta da Dickon in compagnia di Mary. Ormai anche Colin conosce il segreto del giardino ed è proprio lì che sono diretti. Giardinieri e servitori hanno ricevuto ordine perentorio di non farsi trovare sulla loro strada.


Colin appoggiato all'indietro sui cuscini della carrozzella guardava il cielo. La volta azzurra sembrava altissima e le candide nuvolette sembravano dei bianchi uccelli che galleggiassero ad ali spiegate nella cristallina immensità. Il vento soffiava a larghe folate tiepide dalla brughiera, ed era strano quel suo profumo selvaggio e dolce.



Una volta arrivati all'ingresso del giardino segreto
Colin aveva coperto i suoi occhi con le mani per non vedere nulla prima di essere dentro del tutto. Quando la porta fu chiusa, tolse le mani dagli occhi e cominciò a guardarsi attorno incantato.
Sul muro, sull'erba, sugli alberi, sui rami e sui germogli il verde velo fatato, formato dalle tenere foglie nuove, si era steso come per incanto; nelle aiuole sotto gli alberi e nei grandi vasi di pietra grigia, al centro delle capannucce e dei pergolati c'erano ovunque macchie d'oro, di porpora e di bianco e gli alberi mostravano una strana nevicata di fiori rosei e bianchi e gli uccelli come impazziti per la gioia svolazzavano intorno trillando e gorgheggiando nell'aria carica di profumi.



Erano tutti e tre molto felici.
Spinsero la sedia a rotelle sotto un susino bianco di boccioli che risuonava del ronzio delle api in festa; sembrava un baldacchino per il trono di un re di una fiaba. Là vicino erano ciliegi e meli, i cui boccioli, rosa o bianchi, erano qua e là fioriti del tutto. Fra i rami del baldacchino fiorito facevano capolino pezzetti di cielo che parevano guardare come grandi occhi meravigliati quello che accadeva li sotto.

E' il miracolo della vita che si rinnova in continuazione e che farà sì che Collin abbandoni i fantasmi della sua solitudine, della sua presunta debolezza fisica per vivere con serenità e gioia la pienezza della sua adolescenza.
Anche Mary, la ragazzina triste e scialba venuta dall'India,  ora è una bambina allegra e vivace, dall'aspetto forte e sano.
E anche il signor Craven ritroverà la pace dell'anima e la gioia del sorriso nell'amore rinnovato per il figlio.












Se la Burnett ha saputo raccontare con grande sensibilità questa storia di buoni sentimenti, forse troppo ingenua per le nuove generazioni, Inga Moore ha saputo rappresentare con altrettanta efficacia, attraverso la sua personale  forma  grafica , l'amore per la natura, per i suoi misteri, i suoi segreti, la sua forza e, perchè no, i suoi insegnamenti.

domenica 30 marzo 2014

Miki Ferro Pellizzari

Articolo di Dindi



Un'altra artista, espressione dell'epoca che noi prediligiamo, è MIKI, la madre del mio amico Maximilian. Non voglio raccontare nulla della sua vita, anche se in archivio ho parecchi aneddoti che lui mi ha raccontato, perchè so che Maxi ha in animo di scrivere, a breve, la storia dei suoi genitori.
E' la storia di una vita brillante, ricca di contatti con persone glamour, con viaggi ed esperienze emozionanti. Sarebbe sciocco da parte mia raccontare di seconda mano cose che lui ha vissuto e ha vivide nella memoria. Mi voglio limitare a pubblicare qualche immagine del lavoro di Miki, che cominciò giovanissima, a 15 anni, che divenne famosa ed emigrò in Canada e in America.










La sua opera più famosa, qui da noi, oltre le cartoline, è l'illustrazione dei libri che raccontano del Mago di Oz. In circolazione in italiano mi risulta ci siano 5 volumi ( io ne ho solo quattro), ma non tutti sono illustrati da lei. Il trasferimento in Canada la costrinse ad interrompere quel lavoro, che fu proseguito da Carla Ruffinelli, di cui parlerò un'altra volta.







In America Miki lavorò moltissimo per le scuole cattoliche del Quebec, per le quali illustrò vari catechismi




Uno dei libri da lei illustrati che mi piace moltissimo è Notte di Natale




di cui Angelo ha fatto una bellissima pps, che spero pubblicherà sul suo blog o sul suo sito.

So, per aver letto notizie sul blog di Daniele (http://lelecollector.altervista.org/), che Miki ha disegnato molto anche per pubblicità e riviste di moda. Io in casa ho questo oggettino, che ritengo disegnato da lei, anche se non c'è firma.







consiglio di andare a curiosare sul blog di Lele, soprattutto nella zona dei commenti perchè sui suoi post sono intervenuti sia Maxi, che Bruno Bertagnoli, un nipote di Miki e quindi le notizie sono tutte da fonte sicura.








sabato 29 marzo 2014

Angioletti in cucina

Articolo di Lilia



LA CUCINA CELESTE

  F. Kuhn, Im Weihnachtswald

Noi del clan, si sa, amiamo gli angioletti. Li ama molto Dindi che ha recentemente pubblicato un bellissimo post su quelli di Mariapia. Ma, soprattutto, li ama Angelo che è un grande esperto di questi  amici celesti!

Anch’io voglio dare il mio apporto con alcuni angioletti  delle nostre care illustratrici, rappresentati  mentre sono  occupati in un lavoro molto speciale e molto dolce!

Sono gli angioletti pasticceri che ad ogni Natale nelle grandi cucine celesti preparano torte e biscotti ed ogni altro bendidio  per la gioia di grandi e bambini.

 Già negli anni Trenta gli angioletti di Ida Bohatta impastavano grandi torte con ingredienti misteriosi

   I. Bohatta, La cucina del cielo nella traduzione di Maria Antonietta de Carolis:

                    Voi miei cari piccini vorreste domandare
              quale dolce sorpresa preparano in cucina
              questi biondi angioletti dall’aria sbarazzina
              che sulle bianche nubi si danno un gran da fare

              Bimbi, miei cari bimbi, domandare è indiscreto!
              Non posso proprio dirvi quel dolce com’è fatto:
              sarà con la vaniglia? Sarà col cioccolato?
              La cucina del cielo non svela il suo segreto!     




  H. Helwig, Weihachtsengelein

Gli angioletti di Hanna Helwig sono di poco posteriori. In questa cucina sulle nuvole, sotto un cielo trapunto di stelle si stanno di certo preparando biscottini di panpepato e marzapane. Un dolce sta uscendo dal forno  ed un vassoio di pasticcini è già pronto ad entrarvi. Gli ingredienti sono in bella vista: latte, farina, mandorle, miele, scorza di limone…



  H. Helwig, Weihnachtsarbeit der Engelein

Gli angioletti ricoprono di cioccolata e di glassa rosa i pupazzetti e i biscotti che hanno appena sfornati. Ora li lasceranno asciugare ben bene. Saranno perfetti per decorare l’albero di Natale



F. Kuhn, Tannenbaumchens  Weihnachtstraume


 A. Hoffmann, Weihnachtswerkstatt

Ed ecco i deliziosi angioletti di Anny Hoffmann intenti a varie preparazioni. Seduto a terra c’è un angiolino dalla fisionomia famigliare che sta rigirando la crema per la farcitura.  Tutto assorbito dal suo compito delicatissimo, non s’accorge che il tavolo rischia di cadergli addosso perché…manca una gamba!


  F. Kuhn, Il Natale dei bimbi buoni

Questa immagine mi è molto cara. Dalle ariose finestre che s’affacciano sul Paradiso, entra una luce azzurra e dorata che non proviene dagli astri, ma dalla stessa essenza divina ed inonda la cucina dove ferve il lavoro dei pasticceri. Il sole, nelle vesti di un’allegra massaia, si è svegliato un momentino per curiosare   e si è intrufolato nello stuolo di angioletti che arrivano dalle profondità celesti  recando quantità di cose squisite. Niente è troppo buono per la cucina degli angeli!  In primo piano, domina una grande stufa a legna, piena di sportellini:


Sopra le nubi bianche
oggi quanto da fare!
Gli angioletti i bei dolci
hanno da preparare:

                c’è chi tira la sfoglia,
               chi taglia i biscottini,
               chi prepara la crema,
               chi si lecca i ditini. 


Certo, questi angeli non sono come quelli di Mariapia, ma suscitano tanti bei ricordi. Guardarli oggi, mi procura un delizioso piacere, una sensazione di calore e appagamento .Essi, in realtà, sono le petites madeleines  della mia personale ricerca del tempo perduto.

Erano inverni degli anni Cinquanta, la televisione non c’era a imbrigliare la fantasia. Seduta nella mia seggiolina, non mi stancavo di sfogliare libretti come questo, di guardare e riguardare proprio questa   immagine, mentre il lavoro ferveva nella grande cucina che per me  era il centro dell’universo, la cucina senza uguali, la cucina celeste.




F. Kuhn, Im Weihnachtswald


Nella settimana che precedeva il Natale, le mamma e le zie si davano un gran da fare, proprio come gli angeli. I tortellini si facevano una volta all’anno come in tutta l’Emilia di un tempo. Con le maniche arrotolate sopra i gomiti, la mamma impastava uova e farina. Tirava delle enormi  sfoglie, gialle e sottili, anche più larghe del tagliere e poi, sveltissima , le tagliava a striscioline, prima da sinistra a destra e poi dall’alto verso il basso. Le zie si affrettavano a riempire i quadrettini e a richiuderli, trasformandoli in tortellini piccoli e perfetti che poi disponevano in file e file sui tovaglioli bianchi.

 Però il giorno delle colombine era il più bello. La mia cucina celeste si riempiva di profumi. Il panettone non usava ancora tanto, il dolce di Natale era la colombina e se ne facevano tante in ogni casa perché doveva durare per tutte le feste e veniva servita con un bicchierino di vermuth a chi veniva in visita o anche passava soltanto per  fare gli auguri.

 Per fare la colombina (che a Bologna chiamano pinza e nella bassa valle del Reno crescenta dall’uva) si prende un disco spesso di pastafrolla e lo si spalma bene con un ripieno di uvetta, pinoli e mostarda, la marmellata nera che si ottiene facendo bollire a lungo pere e mele cotogne. Poi si richiude la pasta dando al dolce una forma oblunga e lo si mette in forno. A casa mia le colombine si portavano a cuocere dal fornaio perché non entravano nel forno della stufa. Che era poi una cucina economica a legna, di quelle con cinque sportellini, una lunga canna fumaria a gomito e i cerchi per caricare la legna dall’alto.



Sulla piastra si mettevano a scaldare i ferri da stiro di ghisa e sulla canna si appoggiava uno stendino per asciugare i panni. Si toglievano due o tre cerchi e si infilava la pignatta per cuocere la polenta. Si toglieva un altro cerchio e si metteva a bollire il bucato nella conca munita di coperchio e di doppio fondo con tanti forellini. Per fare un buon ragù o la cacciatora si metteva invece il tegame in un angolino e lo si poteva lasciar lì per ore a bollire pian piano senza che si attaccasse. Nel forno si mettevano a cuocere le mele e il profumo e il calore ti avvolgevano tutta quando gelata rientravi in casa da scuola. C’era la mamma che cucinava e cantava, che rideva e ti abbracciava. Mentre lei, la stufa, la signora della cucina, ronfava piano come un gattone e talvolta ruggiva, quando il vento s’infilava  nel tubo attraverso il camino. La grande, bella  stufa della mia cucina celeste!


 F. Kuhn. Im Weihnachtswald