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martedì 25 marzo 2014

Beatrix Potter terza parte



BEATRIX POTTER Un articolo di Lilia
TERZA PARTE



Intermezzo
Nelly Macchiolina
 una grassa topina
fruga nella dispensa
della sua vicina

Conosci la vecchia signora
che visse in una scarpina?
Ebbe tanti figli maschi
ma voleva una bambina
Ragù e patatine
nella grossa pignatta.
Infilali nel forno:
 la cena è bell’e fatta!

Cecily Erbetta viveva in cantina,
faceva la birra di sera e mattina.
Moltissimi signori venivano ogni giorno,
finché Cecily Erbetta non si levò di torno.




Ecco il nostro orticello
 con carote e verdura
 che innaffiamo ogni giorno
con la massima cura.


Un piccolo orticello
che a noi pare una serra,
lindo, fiorito e bello
 senza una foglia in terra.
Indovina indovinello,
con quel suo rosso cappello
 e la candida vestina,
se non va subito a nanna
 diverrà ancor più piccina.



Riprendo così a parlarvi delle storie di Beatrix Potter. Le rime che potete leggere nell’Intermezzo appartengono a due raccolte di filastrocche; quelle filastrocche che Beatrix amava. Era cresciuta con le Nursery Rhymes che le recitavano le sue governanti ed ebbe sempre in mente di scriverne qualcuna e di illustrarla.
Le due raccolte vennero alla luce con molto ritardo rispetto al momento in cui erano state concepite. Infatti, fin dal 1893, Beatrix aveva ritratto dei porcellini d’India presi in prestito dai vicini e, sempre in quell’anno, aveva preparato alcuni disegni di una vecchia donna che viveva in una scarpina.
Poi le idee vennero messe da parte anche in seguito alla morte di Norman Warne. Finalmente le due piccole raccolte vennero pubblicate, la prima nel 1917 col titolo Le filastrocche di Nelly Macchiolina( Appley Dapply’s Nursery Rhymes) e la seconda nel 1922 col titolo Le filastrocche di Cecily Parsley. 
Una curiosità: la sedia su cui sta appollaiata la maialina che pela le patate è identica a quella che avevamo  trovato nella Storia di Bland il porcellino. Evidentemente, la Potter si serviva sempre degli stessi mobili come modelli per le sue illustrazioni!

Nei dintorni di Sawrey si stendevano folti boschi che in autunno si tingevano di vivaci colori e che ospitavano colonie di piccoli scoiattoli grigi dalla lunga coda. Proprio là in mezzo, Beatrix collocò il protagonista della sua storia e lo chiamò Timmy Tiptoes.
Questi scoiattolini grigi non sono nativi dell’Inghilterra, ma erano originari dell’America del Nord e Beatrix li adottò per una storia in omaggio ai suoi piccoli lettori americani.
Timmy viveva tranquillamente con sua moglie Goody in una tana di foglie intrecciate, sulla cima di un grande albero.


Le disavventure dei due scoiattolini iniziarono con la raccolta annuale di nocciole. Lavoravano alacremente e quando, giorno dopo giorno, tutte le cavità dei tronchi vicini al loro albero furono piene, cominciarono a vuotare i sacchi in un buco in alto che un tempo era stato un nido di picchio. Ne misero insieme tantissime mentre, pian piano, l’estate trascolorava nell’autunno.


C’erano anche altri scoiattoli che raccoglievano nocciole nel bosco; tra loro nacque una zuffa e chi ci andò di mezzo fu Tommy che lavorava tranquillo per conto suo. Gli scoiattoli gli saltarono addosso, lo graffiarono e lo spinsero proprio nel buco rotondo dove lui aveva stipato le nocciole.
Timmy scivolò giù in fondo. Un minuscolo scoiattolo di nome Chippy Hackee che si era rifugiato lì dentro per sfuggire alle prediche di sua moglie fu molto gentile. Gli preparò un lettino di muschio e schiacciò per lui molte nocciole.

Timmy ne mangiò tante, ma così tante che cominciò ad ingrassare a dismisura. Cosicché, quando si sentì chiamare da Goody che lo cercava disperata, cercò di uscire dal buchino, ma si accorse di essere in trappola. Ci rimase per una quindicina di giorni, finché un forte vento abbatté la cima dell’albero, la cavità si inondò di pioggia e Timmy poté tornare a casa con l’ombrello, sottobraccio a sua moglie.

Anche Chippy dovette rassegnarsi a tornare a casa dalla moglie per farsi curare un brutto raffreddore.  Timmy e Goody, dal canto loro, pensarono bene di assicurare il loro deposito di nocciole con un bel lucchetto.

Mi sono dilungata a riassumere il contenuto della storia per rendere comprensibili le illustrazioni. Del resto, la stessa Beatrix ebbe dei problemi a scrivere questa storia perché risultava sempre troppo lunga.  E’ anche l’unica (a parte Il sarto di Gloucester) i cui personaggi hanno poco a che fare con Sawrey e i suoi dintorni. Il piccolo scoiattolo Chippy e sua moglie sono due tamie orientali che è difficile incontrare nella Regione dei Laghi. Gli stessi scoiattoli grigi sono di origine americana. I boschi ritratti nella tarda stagione estiva, quando le foglie cominciano a colorarsi di rosso e giallo, sono invece particolarmente verosimili; abbiamo poi buone rappresentazioni delle piante di nocciolo, delle radure naturali, delle nodosità e delle cavità dei tronchi.

Altri scoiattoli, europei questa volta e con una folta coda rossa, sono i protagonisti della Storia di Nutkin. Nel nord dell’Inghilterra, nella regione del Cumberland, c’è un posticino dove, al limitare del bosco, i prati digradano dolcemente verso le acque tranquille del lago Derwentwater.
Qui una piccola comunità di scoiattoli è al lavoro. Costruiscono minuscole zattere e sembra proprio che intendano servirsene  per attraversare l’acqua e raggiungere l’isola che affiora proprio in mezzo al lago.
Si tratta dell’isola di St. Herbert che qui sotto vediamo in due schizzi della stessa Potter.




Beatrix dedicò questa storia, seconda in ordine di pubblicazione (1903) dopo Peter Rabbit, alla piccola Norah Moore figlia della sua ex governante e le scrisse di aver sentito una vecchia signora  sentenziare che “gli scoiattoli attraversano il lago quando le noci sono mature; io mi chiedo però come facciano a superare l’acqua. Forse costruiscono delle minuscole zattere!”. Ecco come da un piccolo aneddoto può svilupparsi l’ispirazione per un racconto.
La seguente è  una fotografia del 1900 che ritrae le sorelle Moore; quella al centro è Norah. Manca invece il fratellino Noel al quale Beatrix aveva dedicato la sua prima storia, quella di Peter Rabbit.

La storia contiene delle bellissime vedute del lago con l’isola che Beatrix  ribattezzò Isola del Gufo, immaginando che vi abitasse, in una quercia cava,  un grosso gufo chiamato Vecchio Brown.

Appena sbarcati, gli scoiattoli erano soliti omaggiare il gufo portandogli piccoli doni per propiziarselo come fosse stato una divinità dei boschi. Ecco dunque tutti gli scoiattolini in fila chiedere il permesso di raccogliere nocciole nell’isola. Tutti, tranne Nutkin che era spaventosamente sfacciato e saltellava su e giù davanti al Vecchio Brown, cantando canzoncine insolenti.

La cosa andò avanti per vari giorni coi fratellini che portavano doni al gufo e Nutkin che lo provocava con un atteggiamento sempre più impertinente e irrispettoso. Alla fine, il Vecchio Brown si stufò; afferrò il temerario e se lo portò in casa con l’intenzione di mangiarselo. Nutkin si divincolò tanto che riuscì a scappare, ma lasciò un pezzetto della sua bella coda tra gli artigli del predatore.

Beatrix fece parecchi schizzi dal vivo durante la preparazione del libretto. Usando la tecnica dell’acquerello, rappresentò gli scoiattoli nei più svariati atteggiamenti per rendere quanto più possibile credibili i suoi personaggi.
Si può notare che non era interessata a dipingere gli scoiattoli allo stesso modo in cui era solita dipingere i topolini. Questi ultimi sono disegnati in modo meticoloso, con la massima attenzione ai particolari,. Nel caso degli scoiattoli, invece, il tratto è più fluido come per sottolineare la loro agilità e la leggerezza dei loro movimenti.
Per concludere, si può notare che questa è l’unica storia in cui gli animaletti sono rappresentati privi di abiti sebbene si dedichino ad attività simili a quelle umane.

Anche la Storia di Mrs. Tiggy Winkle ha come sfondo le colline che circondano il lago Derwentwater. Durante una vacanza nel 1903, Beatrix aveva fatto molti schizzi della zona che poi le servirono per illustrare tanto questa storia quanto la precedente. In poche altre storie la Potter si servì così tanto di elementi reali e facilmente identificabili per ambientare un racconto di pura fantasia.

La stessa signora Tiggy Winkle, lavandaia e stiratrice, è uno degli animaletti di Beatrix, un porcospino domestico che si adattò a fare da modella col suo buffo nasetto all’insù e gli occhietti ammiccanti. La personalità della signora Tiggy Winkle fu invece suggerita alla Potter da una vecchia lavandaia scozzese “una buffa e tonda vecchina, bruna come una bacca, infagottata nelle sue sottane”.
Un porcospino è un soggetto insolito per una favola per bambini, eppure questa piccola, grassoccia lavandaia ancora oggi è uno dei personaggi più amati tra tutti quelli usciti dalla matita dei Beatrix Potter. Osserviamola da vicino.
Non più alta di 30 centimetri, è una cosettina bruna e curiosa, il nasetto a punta sembra sempre annusare l’aria: snif snif; gli occhietti a spillo paiono luccicare: blink blink; indossa una sottoveste a righe gialle e verdi sotto una sottana bianca a fiorellini, tutta rimboccata in vita per lavorare meglio; sopra indossa un grembiule candido, mentre le corte braccine sono infagottate in una camicia a riquadri  bianca e rossa; in testa porta una vezzosa cuffietta , ma qua e là, al posto dei capelli, spuntano gli aculei. Nonostante sia più larga che alta, rivela un’insospettata agilità e leggerezza, come a volte hanno le persone grasse.
Invece, la protagonista umana della storia non è così ben riuscita, come ammette la stessa Beatrix. In effetti, la Potter non era molto brava a disegnare la figura umana e, in particolare, i volti. Per questa bambina si ispirò ad una delle due figliolette del vicario di Newland amico dei Potter.
Veniamo alla storia. Una bambina di nome Lucie ha perso i suoi fazzolettini e un grembiule e, per ritrovarli, si avventura lungo un sentiero che si inerpica in alto, sulle colline.

Nell’illustrazione è riconoscibile la Newland Valley che ancor oggi è un luogo poco popolato, se si eccettuano i cottages di Little Town che si vedono in basso a destra nella figura.
Lucie, come una nuova Alice, si addentra in un piccolo paese delle meraviglie, dove tutto può essere vero, come l’esatto contrario.  

Arrivata ad una fonte che sgorgava dal fianco della collina, non poté proseguire perché il sentiero s’interrompeva ai piedi di una grande roccia. “C’era però qualcos’altro: una porta proprio nella roccia, e dentro qualcuno cantava”. Come Alice, Lucie spinse la porticina e… si trovò nella cucina di Mrs. Tiggy Winkle.

Era una cucina tipica della Regione dei Laghi, di quelle che Beatrix aveva potuto osservare molte volte nei dintorni di Sawrey, col soffitto basso basso, la panca davanti al focolare, la credenza e la piattaia. C’era un buon odore di bucato lavato e appena stirato, perché la signora faceva di professione la lavandaia e inamidava e stirava la biancheria per tutti gli abitanti della valle.
Mrs. Tiggy Winkle ha tutte le caratteristiche di una brava donna di casa che conosce anche i doveri dell’ospitalità.

Ella stende in alto, sotto le travi del soffitto, il bucato ad asciugare.
Inamida a puntino i colletti, i polsini e gli sparati delle camicie, attizza un fuoco di torba nel camino dove sono posti i ferri da stiro ad arroventarsi

Ed offre a Lucie una bella tazza di tè. Quello del tè è un rito che le due consumano educatamente sedute sulla stessa panca vicino al fuoco, mentre si sorridono studiandosi a vicenda.

Ma che sorpresa! Lucie ritrova il suo grembiule e i suoi fazzolettini! Erano proprio lì, in quella misteriosa casetta, lavati e stirati alla perfezione; la stiratrice aveva perfino ridato il garbo alle gale del grembiulino.
Lucie accompagnò poi la lavandaia a consegnare la biancheria pulita; al loro arrivo, gli animaletti facevano capolino dalle felci e circondavano riconoscenti la signora Tiggy Winkle.

Quando furono in vista del villaggio, Lucie si girò per augurare la buonanotte alla sua amica, ma…non c’era più! Al suo posto, un porcospino correva a perdifiato su per la collina. Ancora una volta, la Potter evoca Alice nel paese delle meraviglie, riportando alla memoria  il  Coniglio Bianco che correva trafelato per acchiappare il Tempo..
A questo  proposito, vorrei fare una digressione, per notare come, tra i vari disegni che Beatrix eseguì per illustrare alcune fiabe classiche, se ne trovino alcuni per Alice nel paese delle meraviglie.
Come questo che rappresenta la lucertolina Bill mentre viene rianimata dai porcellini d’India giardinieri.

Uno dei personaggi  preferiti dalla Potter era il Coniglio Bianco che qui viene rappresentato sontuosamente abbigliato.


Lungo le rive del fiume Toy, nelle vicinanze del quale i Potter trascorrevano parte delle loro lunghe vacanze scozzesi, è ambientata la storia di Mr. Jeremy Fisher. Questo gentiluomo viveva in una casetta umidiccia nascosta tra i ranuncoli.
Adorava andare a pesca nelle mattine piovigginose, quando una deliziosa nebbiolina calava sulle acque dello stagno.

Quella era proprio la mattinata ideale! Avrebbe poi potuto concludere degnamente la giornata invitando a cena i suoi due amici Sir Isaac Newton la salamandra e Mr. Alderman Ptolemy la tartaruga che però non gradiva il pesce e che si sarebbe portata l’insalata da casa.


 

Purtroppo la pesca andò molto male e per cena si dovettero accontentare di cavalletta fritta che comunque per i rospi è una leccornia, come osserva la Potter.

Al di là della piacevolezza del racconto (par quasi di sentire lo “splash splash” delle zampette di Jeremy nell’acqua bassa) si può ammirare in questa storia la bravura e la mano del naturalista con cui Beatrix ha saputo rappresentare l’ambiente dello stagno, come le trote o le piante acquatiche e ha usato addirittura gli abiti di cui ha rivestito i suoi animaletti per rimarcarne le caratteristiche.



Sir Isaac Newton indossa un panciotto nero e oro come la pelle delle salamandre, Mr. Ptolemy porta l’insalata in una borsa a rete che ricorda il guscio delle tartarughe. Da parte sua, Jeremy Fisher assomiglia  a un damerino del Settecento con le sue gambette sottili avvolte nelle culottes e il ventre prominente stretto in un panciotto a fiori. 

Per questa storia la Potter aveva fatto diversi studi preparatori di rospi. Come questo, intitolato Tea party.


Torniamo ora verso il nostro ideale villaggio che assomiglia tanto a quello di Sawrey, per occuparci della Storia di Ginger e Pickles dove compaiono alcuni personaggi divenuti famigliari nei racconti precedenti.
Ginger era un gatto dal pelo arancione e Pickles era un terrier. Gestivano insieme un minuscolo emporio dove si poteva trovare di tutto. La clientela era un po’ intimorita da quei due.

In particolare, i topi avevano un po’ paura di Ginger; di solito li serviva Pickles per evitare che al socio venisse l’acquolina in bocca. “Non sopporto – diceva Ginger – di vederli andar via uno dietro l’altro con i loro pacchettini in mano.” Anche le bambole Lucinda e Jane andavano spesso lì per fare acquisti.

Però, paura o non paura, tutti continuavano a frequentare il negozio perché i gestori vendevano a credito illimitato, e facevano un spietata concorrenza a Tabitha Twitchit (ve la ricordate?) padrona dell’altro emporio del villaggio.
Purtroppo, l’abitudine di dar via la merce a credito non faceva fiorire le finanze e i due, in mancanza di soldi, dovettero mangiare quel che c’era nel negozio. Per di più, il primo gennaio Pickles non riuscì a pagare la tassa sui cani: “Che situazione imbarazzante. Ho paura di essere arrestato” ripeteva.
I due soci si ritirarono nel retrobottega e cominciarono a fare i conti. “Ho l’impressione che Anna Maria (ve la ricordate?) rubacchi. Dove sono i crackers?” chiese Pickles “ Li Hai mangiati tu ieri” gli ricordò Ginger.
Per sopravvivere dovettero chiudere il negozio e, tra gli abitanti del villaggio, qualcuno si fece avanti per gestirlo, come la Signorina Ghiro che vendeva candele.

Dopo vari tentativi falliti, ora l’esercizio è stato rilevato da Sally Henni Penny la chioccia, la quale si affanna a fare i conti ed insiste perché la paghino in contanti.

Ci sono buone speranze che l’emporio rimanga aperto e continui a fare concorrenza a Tabitha Twitchit che nel frattempo aveva già approfittato per alzare i prezzi.
Questa storia rappresenta con ironia e vivacità la vita di un piccolo villaggio di una volta, dove tutti si conoscono, si incontrano, spettegolano, si fanno i fatti altrui, ma, in fondo, si vogliono bene e si aiutano al bisogno.
Quando la storia venne pubblicata nel 1909, divertì moltissimo gli abitanti di Sawrey che si riconobbero nei personaggi, oltre al fatto che le illustrazioni contenevano alcuni scorci del villaggio perfettamente riconoscibili all’epoca.

Tra il villaggio di Sawrey e la città di Hawkshead si svolge invece la storia di Johnny topo di città pubblicata nel 1818. Per scrivere questa sua versione di Il topo di campagna e il topo di città, la Potter afferma di essersi ispirata ad Esopo “nell’ombra”perche cominciava a soffrire seriamente dei problemi alla vista che col tempo l’avrebbero costretta a smettere di disegnare.
Johnny topo di città era nato in una credenza, Timmy Willie topo di campagna era nato in un orto; Johnny era educato e forbito, Timmy  ingenuo e sognatore. 

Beatrix preferiva vivere in campagna come Timmy Willie che era arrivato per sbaglio in città in una cesta di ortaggi ed era caduto sul tavolo apparecchiato nel bel mezzo di un pranzo di gala di topi cittadini.

Come lui, Beatrixi si accontenta delle piccole, immense gioie che può dare la natura; Timmy si sveglia all’alba e s’addormenta al calare del sole, può scambiare due chiacchiere con l’amico pettirosso, può annusare il profumo delle viole e dell’erba fresca.
E può godere di un goccio di latte ancora tiepido, donato dalle mucche che “non sono pericolose. A meno che non ti si stendano addosso”.

Johnny è un ricercato ed elegante topolino che può godere di tutti i vantaggi offerti da una grande casa di città, ma che è diventato nevrotico a causa della vita frenetica impostagli dalla necessità di sfuggire ai continui attacchi del gatto di casa. Fa a Timmy Willie parecchie domande sull’orto per concludere:”Mi sembra un posto noioso. Cosa fai quando piove?”
Per il personaggio di Johnny, la Potter si ispirò al Dottor Parson che portava, come il topolino, la sua lunga sacca di mazze per giocare a golf col marito di Beatrix, Willie Heelis.

Da notare che il carretto del barrocciaio che tutte le settimane portava la verdura in città, è tirato da Old Diamond il cavallo di Hill Top. Beatrix  gli era molto affezionata e continuò ad utilizzarlo fino agli anni Trenta assieme al calessino,  per i suoi piccoli spostamenti.


Ho lasciato per ultima la Storia del sarto di Gloucester benché, in ordine di pubblicazione (1903), sia soltanto la terza. Era la preferita di Beatrix ed è splendida sia per i contenuti, che per le illustrazioni, che per l’atmosfera natalizia e magica che vi si respira.
Questa è l’unica storia non ambientata a Sawrey o ispirata alla Regione dei Laghi, ma è piuttosto il frutto dell’influenza esercitata sulla Potter dai fairy tales, le fiabe di magia, che l’autrice aveva sentito raccontare tante volte da bambina.
Beatrix mandò la fiaba a Freeda Moore (un’altra dei bambini Moore! E’ la più alta, a sinistra nella foto) per il Natale 1901 scrivendo nella dedica “ siccome vai matta per le fiabe e sei stata malata”.

La Potter si ispirò ad una storia raccontata nei dintorni di Gloucester dove un sarto, che alla sera aveva lasciato incompiuto il panciotto che stava cucendo per il sindaco, trovò al mattino il lavoro terminato, a parte un’asola per la quale “non c’era più filo”. Nell’originale a finire il lavoro sono gli aiutanti del sarto, ma la Potter immaginò che a compierlo fosse uno stuolo di topolini riconoscenti che, in questo caso, assumono il ruolo di buone fate.
Inoltre, ambientando la sua versione nella magica notte di Natale, quando gli animali possono parlare e a volte si verificano fatti miracolosi, la Potter riesce a creare un’atmosfera unica, sospesa tra la realtà e il mito.

Nella città deserta e coperta di neve, il buio della notte è rotto da un debole chiarore proveniente dalla casupola del sarto che deve terminare la bella giacca ricamata per il matrimonio del sindaco.
Ma chi lavora cantando, in mezzo a un gran tagliare di forbici ed un fruscio di fili, visto che il povero sarto è a letto febbricitante?

Bisogna fare un passetto indietro. Il gatto di casa era riuscito a catturare alcuni topolini e li aveva nascosti sotto le tazze della credenza per papparseli in pace, lontano dagli occhi del padrone. Ma questi, tornato a casa e sentendosi la febbre, aveva mandato il gatto a comprare  pane, latte e salsicce per cena, oltre a una matassina di filo rosso ciliegia per la giacca del sindaco.
Durante l’assenza del gatto, il sarto sentì dei rumorini provenire dalla credenza; capovolse le tazze e spuntarono dei graziosissimi topolini abbigliati secondo la moda del XVIII secolo. Ecco due varianti della medesima immagine:



Nella seconda, la topolina sembra essersi appena girata per guardare l’osservatore fuori dal nostro campo visivo. A mio parere, si tratta di disegni molto belli; l’inquadratura della scena è insolita, il tratto è particolarmente sciolto e i colori soffusi sono quelli che ci aspetteremmo di cogliere la sera della Vigilia in un tinello illuminato da sole candele.
Dopo essersi inchinati educatamente, i topolini si dileguarono dietro i pannelli della parete. Al suo ritorno il gatto si infuriò: “Dove sono i miei topi?” avrebbe voluto gridare. Per vendicarsi del sarto che ormai vaneggiava per la febbre, gli nascose la matassina di filo e se ne uscì nella notte a vagabondare con le anime perse.
Allora i topolini tornarono ad affacciarsi e si accorsero che il sarto non sarebbe stato in grado di finire il lavoro. Erano anche “molto interessati alla stoffa  della magnifica giacca e facevano commenti sulla fodera di taffettà”.
Si misero all’opera cantando e picchiettando coi ditali per segnare il tempo. Quando il gatto fece ritorno a casa li guardo lavorare dalle fessure della finestra, poi andò a riprendere la matassina. Si vergognava della sua cattiveria di fronte alla generosità dei topi.
Al mattino, il sarto si alzò dal letto ristabilito; per prima cosa vide il filo color ciliegia sul letto e, lì vicino, il gatto tutto contrito.  Con grande  gioia trovò poi sul tavolo la giacca meravigliosamente ricamata, con punti così precisi e piccolini che li avresti detti opera di un topolino! Mancava solo un’asola color ciliegia, ma c’era appuntato un bigliettino dove stava scritto con una calligrafia minutissima: “Non ho più filo”.
Gran parte dell’incanto di questa storia è dovuto ai topolini di casa, resi ancor più graziosi dagli abiti settecenteschi con cui sono abbigliati. Basti osservare questa compunta damina vestita come per una soiree a teatro. Una cuffia con una grande coccarda le adorna la testolina, mentre un’elegante sopravveste ornata di trine ricopre l’abito ricamato a fiorellini.

Così finisce “la storia delle storie” di Beatrix Potter. Ho fatto del mio meglio per trasmettervi il mio entusiasmo e per invogliarvi ad andarvele a leggere nell’originale o, almeno, nella traduzione italiana. Ma non spero di esserci riuscita!
Posso però assicurarvi che questi racconti e questi disegni sono capaci di dischiuderci le porte di un mondo vastissimo e sorprendente dove realtà e fantasia, tradizione e innovazione vanno a braccetto per renderci la vita un po’ più leggera.

Devo segnalare che, per scrivere di Beatrix Potter, mi sono servita dei seguenti libri dai quali ho tratto anche le illustrazioni e le fotografie:
Il mondo di Beatrix Potter, Sperling & Kupfer, 2003
The art of Beatrix Potter, F.Warne & Co. , 1955
Beatrix Potter 1866-1943, F. Warne &Co., 1987
E noi, io e Mianna, cosa possiamo dire se non che Lilia ha fatto un lavoro splendido, che fa onore al nostro blog? Non è la prima volta che la nostra amica ci prepara articoli stupendi su illustratrici che noi conosciamo poco, ma stavolta ha davvero superato se stessa!  Secondo me i suoi articoli andrebbero raccolti in un libro! Grazie Lilia, leggerti è davvero piacevole.

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